Il condizionamento mentale è uno di quegli aspetti fondamentali da comprendere se riteniamo che vivere con un cane significhi instaurare con lui una relazione basata sull’empatia, l’ascolto e la libertà di pensiero reciproca, non un rapporto basato sulla teoria del capobranco, sulla dominanza, sulla leadership.
Prima di proseguire con l’articolo vorrei dire che ritengo che l’unica specie al mondo in grado di condizionare la mente di un altro animale è quella umana.
Uno dei sinonimi di “condizionare” è “manipolare”.
L’obiettivo di chi vuole manipolare è “controllare”.
Controllare una mente significa volerne fare ciò che si vuole, ovvero usarla per profitti/scopi personali a discapito di quella stessa mente.
La definizione dello psicologo americano Michael D. Langone è: “La locuzione ‘controllo mentale’ si riferisce a un processo dove un gruppo, o individui, usa sistematicamente metodi manipolativi non etici per persuadere gli altri a conformarsi ai desideri dei manipolatori, spesso a svantaggio della persona manipolata”.
Per noi umani è molto facile condizionare la mente degli altri animali principalmente per due motivi:
1) il primo è che noi stessi siamo stati condizionati fin da piccoli per poterci adeguare ad uno stile di vita incoerente, illogico ed autodistruttivo per la nostra specie;
2) il secondo è che la mente degli animali non umani è coerente e tendenzialmente fiduciosa, e questo li fa vivere senza il timore che qualcuno li possa manipolare.
Ma cosa c’entra tutto questo con la nostra relazione con i cani?
Quando tra gli anni ’40 e ’70 alcuni ricercatori iniziarono a studiare il comportamento di un gruppo di lupi nordamericani, si fece un gravissimo errore: per poterli osservare forse più comodamente, gli animali furono catturati e rinchiusi in grandi aree recintate.
Questo creò una sorta di ghetto in cui quei lupi si trovarono costretti a vivere insieme.
Questa situazione, assolutamente innaturale, ha dato un’idea completamente sbagliata di questi animali, arrivando a far pensare che:
– in un gruppo di lupi esistono un capo(branco) e i suoi sottoposti;
– il lupo più forte (maschio alfa) si accoppia con la lupa più forte (femmina alfa), e questa coppia dominerà tutto il branco e la nuova prole al pari di un regime dittatoriale;
– durante la caccia, il capobranco coordina tutti i suoi sudditi e sarà lui il primo a mangiare;
… e così via.
Siccome la quasi totalità del mondo scientifico era (ed è ancora) concorde sul fatto che i lupi siano gli antenati dei cani, ecco nata l’equazione “cani = lupi”.
Tra quei ricercatori c’era anche David Mech che, probabilmente per primo, dalla fine degli anni ’90 continua a spiegare al mondo che quelle ricerche erano sbagliate e che la teoria del capobranco è stata un errore. Aggiunge anche che, nonostante i suoi sforzi divulgativi, quella teoria continua ad essere molto in voga e alle persone piace sempre sentir parlare di capobranco, dominanza, legge del più forte, leadership, ecc.
Quindi, unendo la teoria del capobranco (in cui un lupo ne domina/manipola altri per un proprio tornaconto) a quelle dell’apprendimento classico e dell’apprendimento operante, si è ancora una volta rimasti al 1600 quando il filosofo Cartesio definiva tutti gli animali (escluso l’umano) “delle macchine prive di pensiero, prive di mente, prive di un’anima”.
Fino a quando penseremo che la felicità e la serenità del nostro cane dipendono dall’essere noi il suo capobranco, non potremo mai capire cosa significa avere una relazione con questo animale.
Quello che bisogna fare è smettere subito, in maniera perentoria e categorica, di usare sistemi duri che generano emozioni negative al cane (collare a strangolo, voce alta impositiva, sberle, calci, scuotimenti dalla collottola, regole, doveri, ecc.).
Da qui in avanti dovrete essere pronti a prendervi a calci il cervello per decondizionarvi e per capire cosa significa creare e portare avanti una sana relazione con un cane.
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